La malattia pilonidale è una patologia molto frequente. Consiste nella formazione di una cisti a livello del sacro o del coccige e può essere associata o meno a tramiti fistolosi che si aprono all’esterno facendo fuoriuscire siero o, in caso di sovrainfezione batterica, materiale purulento. In nessun caso la cisti o la fistola hanno comunicazione con il canale anale. Anche se sono di gran lunga i maschi, più spesso bruni con pelle grassa, ad esserne affetti non è infrequente il rilievo di cisti pilonidale anche nelle giovani donne.
La causa che porta allo sviluppo di questa malattia è probabilmente da associare alla ritenzione di peli a livello della plica interglutea, anche se è ancora controverso se tale fenomeno sia relativo ad una condizione congenita neonatale o al semplice incistamento dell’annesso pilifero. La malattia pilonidale è da considerarsi una malattia della giovane età poichè il suo esordio avviene intorno alla pubertà: di solito si manifesta con una tumefazione nella sede interglutea, che con il tempo da origine a delle piccole fistole che si aprono sulla cute e dalle quali possono uscire peli.
La predisposizione familiare, l’abbondante sudorazione il sovrappeso e il microtrauma costante, ad esempio come avviene nei ciclisti, sembra favoriscano l’insorgenza della malattia. Nella maggiore parte dei casi l’esordio è caratterizzato dalla formazione di un’ascesso nella regione sacrale, molto dolente, talvolta accompagnato da febbre elevata.
Pressochè inutili sono in questa fase l’utilizzo di pomate revulsive, i semicupi o la borsa dell’acqua calda, risultando opportuno e necessario il drenaggio chirurgico d’urgenza dell’ascesso in sala operatoria. Tuttavia tale procedura non permette di trattare radicalmente la lesione, la cui risoluzione deve essere cercata in una fase di quiescenza della malattia.
La procedura che sembra portare a un tasso di guarigione maggiore, risulta l’escissione chirurgica con sutura diretta della ferita. Il trattamento chirurgico, meglio se eseguito da un chirurgo proctologo di provata esperienza, consiste nell’escissione della cisti e di tutti i tramiti fistolosi che vengono evidenziati durante l’intervento. Se non subentrano complicanze post operatorie la guarigione avviene in due, tre settimane con la rimozione dei punti. In questo caso si parla di guarigione per prima intenzione. Purtroppo, anche in caso di procedure chirurgiche correttamente eseguite, le complicanze post operatorie sono molto frequenti e possono verificarsi fino al 30% dei pazienti.
L’infezione della sede operata e conseguente riapertura della ferita è in assoluto la più frequente. Il trattamento di questa complicanza consiste in medicazioni a zaffo della cavità residua con l’obbiettivo di stimolare la formazione di nuovo tessuto fino alla guarigione. In questi casi si parla di guarigione per seconda intenzione.
Purtroppo questa fase può durare anche alcuni mesi. In tale periodo l’abbondante formazione di essudato, anche maleodorante, il dolore e i numerosi cambi di medicazione, spesso dolorose e invasive, condizionano pesantemente la vita del paziente sotto ogni profilo, sia lavorativo, che sociale e relazionale.
In questi casi una valida alternativa al trattamento standard è la terapia a pressione negativa (NPWT). Tale tecnica, sebbene ben nota già agli antichi egizi e nella medicina cinese, è stata recuperata alla nostra pratica clinica solo in anni recenti, con risultati che la più autorevole letteratura internazionale ha definito eccezionali, nel trattamento delle ferite per seconda intenzione.
La tecnica consiste nell’applicazione al fondo della ferita di una spugna collegata ad una pompa di aspirazione, di piccole dimensioni, con l’effetto immediato di rimozione continua dell’essudato, stimolazione della crescita del fondo della ferita ed accostamento dei margini della lesione. Con questo trattamento si ottiene quindi una netta riduzione dei tempi di guarigione, di solito non superiori ai 40 – 45 giorni. Inoltre il controllo dell’essudato permette a tutti i pazienti l’immediato reinserimento nel loro contesto sociale e la stessa attività lavorativa può essere ripresa già dopo sette giorni dall’inizio della terapia a pressione negativa.